I piani dell'esistenza
- francesco esposito

- 13 lug
- Tempo di lettura: 58 min
Esistenza e movimento
L’uomo crea Karma finché respira, perché nessuno è al di là del movimento nemmeno per un secondo. Babaji
Supponiamo di poter definire l’Universo come l’insieme di tutto ciò che siamo in grado di pensare, siano esse cose osservate, dedotte o immaginate. Ebbene, questo insieme sembra esprimere moto a qualsiasi livello lo si voglia indagare.
Etimologicamente la parola Universo è composta da «Uno», che può assumere il significato di tutto, nel senso di principio unificatore, e da «vertere», che indica appunto il muovere intorno.
Nelle religioni è sinonimo di «Creato», espressione quindi di un atto, di un divenire, la conseguenza di un’azione, intenzionale o meno, che genera tutte le cose.
La storia della filosofia ci racconta dell’universo come manifestazione di diverse trasformazioni o di un singolo materiale «Arché» o di elementi invisibili «Àtomos» o di diversi elementi base, tra loro combinati. In ogni caso la speculazione filosofica ha inteso l’Universo come un sistema in continua trasformazione, caratterizzata, quindi, da un movimento di due o più elementi in relazione tra loro nello spazio e nel tempo. Una relazione che potremmo definire vibrazione, se osservata bene. Possiamo, infine, trarre la conclusione che tutto ciò che esiste possiede movimento e tutto ciò che si muove esiste. Sembrano due qualità imprescindibili, l’una comporta l’altra. L’osservazione diventa ancora più interessante se consideriamo che il termine esistere deriva dal latino «ex sistere», che significa essere stabile fuori, ovvero che si può stabilire come vero mediante le funzioni sensoriali, con o senza l'ausilio di strumenti tecnologici. L'esistenza, in questa accezione, diventa qualcosa di tangibile. Ma cosa è che diventa "stabile fuori"? E prima di ottenere questa condizione che cosa era? Diamo per vero che vi siano buchi neri e buchi bianchi. I primi inghiottono materia, i secondi la secernono. Immaginiamo che per entrambe le tipologie vi sia un cosiddetto orizzonte degli eventi, ovvero una linea di confine del buco, che segna la scomparsa della materia nel primo caso, la apparizione della stessa nel secondo. In questo scenario, quando una energia esce da un buco bianco, ovvero oltrepassa l’orizzonte degli eventi, assume le caratteristiche dell’esistenza: partecipa allo spazio-tempo. Prima era, ora esiste. Prima non potevamo osservarla, ora possiamo e, nel farlo, ci accorgiamo che si muove, si trasforma spazialmente nel tempo. Ora possiamo misurarla e darle un nome. Poi ci accorgiamo che questo fenomeno, che chiamiamo esistenza, appare ai nostri occhi di osservatore o come una fotografia, quindi qualcosa di statico, o come una sequenza, quindi qualcosa di dinamico.
"Ecco, dunque i due aspetti osservabili della realtà, quello corpuscolare e quello ondulatorio, quello tangibile e quello impalpabile, quello che predilige l’omeostasi e quello che si trasforma in continuazione, il cosmo come ordine/ornamento e l’universo come metamorfosi continua.
Il movimento è osservabile a ciascun livello di indagine. Inteso come trasformazione e cambiamento, il movimento costituisce la vera natura di ciò che possiamo osservare nella materia tutta, animata e inanimata, e forse anche di ciò che ancora è aldilà della nostra capacità di osservazione e speculazione.
La vita di un organismo, cioè di materia animata, dal più semplice al più complesso, è caratterizzata dal movimento attivo destinato a quelle funzioni biologiche che ne determinano le peculiari caratteristiche di organismo. La vita animata di un corpo sulla terra, sia vegetale sia animale, è tale finché resta espressione di quel movimento attivo; quando questo cessa inizia un altro tipo di movimento, volto al disfacimento del corpo con le progressive trasformazioni cellulari." (Francesco Esposito, in Maria Luisa Iavarone, Abitare la corporeità, Napoli, FrancoAngeli, pp. 208, 6a ristampa 2018).
Per quanto concerne l’esistenza inorganica, ovvero delle cose inanimate, andrebbero spesi ulteriori pensieri e indagati altri aspetti di enorme valore, ma poco pertinenti in questo testo.
Mi piace infine immaginare, e trovo conveniente credere fermamente, che ciò che ora esiste, prima già era e poi comunque sarà. L’esistenza è solo un segmento dell’Essere, una frazione del Suo divenire.
Perché i piani dell'esistenza
Perciò tramite la persona conosci le persone, tramite la famiglia conosci le famiglie, tramite il villaggio conosci i villaggi, tramite il paese conosci i paesi, tramite il mondo conosci il mondo.
Lao Tzu
Nel precedente articolo “Esistenza e movimento” abbiamo visto come il concetto stesso di esistenza sia imprescindibile da quello di movimento e viceversa, almeno in questa dimensione. L’esistenza rappresenta quello che potremmo definire l’aspetto corpuscolare della Vita (Cosmo), laddove il movimento sarebbe quello ondulatorio (Universo). Senza cedere alla tentazione di ricorrere al principio di indeterminazione di Heisenberg, mi limito a far notare quanto difficile sia osservare i dettagli di un pendolo mentre oscilla. Per vedere le caratteristiche fisiche del pendolo è conveniente fermare l’oscillazione e osservarlo in quiete. Al contrario, se siamo interessati alle caratteristiche dell’oscillazione, sarà conveniente rimettere in moto il pendolo. Da bravo occidentale, le cui caratteristiche culturali presentano maggiore predilezione per la deduzione rispetto all’intuizione, la mia indagine procede speditamente verso l’aspetto corpuscolare, allo scopo di individuare prima gli elementi coinvolti per poi osservare i loro movimenti. Francamente non credo sia questo il metodo migliore sulla Via della comprensione, ma non posso procedere nei miei ragionamenti se non partendo dagli strumenti che mi sono familiari. Cresciuto alla scuola di Cartesio, propendo all’astrazione solo dopo un percorso logico. Fatte salve queste premesse, procediamo partendo da una semplice ma fondamentale riflessione: un pendolo senza oscillazione non è un pendolo, ma un peso pendente; una oscillazione non si verifica senza il movimento di un peso pendente. Ne consegue che indagare il pendolo, ovvero la componente corpuscolare della Vita, senza osservare la fase oscillatoria, ovvero il movimento della Vita, ci porterebbe a una serie di informazioni dettagliate, ma inutili. Per individuare gli elementi coinvolti nella Vita dell’Essere umano occorre osservare il fluire della Vita stessa per capire come e dove si svolge questo movimento. A questo punto possiamo teorizzare che l’esistenza si manifesta su diversi piani, tra loro interconnessi.
Allo stato dell’arte possiamo ipotizzare che siano almeno nove i piani da tenere in considerazione per indagare l’esistenza dell’Essere umano; piani: energetico, atomico, chimico, biologico, fisiologico, emotivo, psicologico, cognitivo, animistico. Non si può e non si deve dimenticare il ruolo sistemico che il contesto assume nello svolgimento l’esistenza stessa, ovvero il ruolo plasmante delle interazioni tra soggetto e contesto. Ma di questo parleremo più dettagliatamente in altra sede.
Per ben esprimere il concetto di piani dell’esistenza lasciatemi ricorrere a uno stratagemma: immaginiamo di poter disporre di un artefatto in grado di lasciarci esplorare un Essere umano da distanze via via più microscopiche, fino a poter osservare le particelle subatomiche. Chiameremo Smeraldo questo artefatto, in onore della tavola smeraldina di Ermete Trismegisto. Smeraldo è dotato di tecnologie e risorse in grado di rilevare, misurare e mostrare tutto ciò che incontra nei diversi momenti di zoom.
Prima di addentrarci nelle descrizioni dei singoli piani, è necessario chiarire e definire il concetto di piano. Per piano intendo qualcosa di assimilabile a un sistema formale, ovvero un insieme che contiene al suo interno sia gli elementi sia le leggi di interazione tra gli elementi. Ne consegue che all’interno di ciascun piano gli eventi si svolgono come movimento degli elementi appartenenti a quel piano, secondo le leggi di quel piano.
Immaginate ora ciascuno dei nove piani come una stoffa traspirante, tipo un lenzuolo… una membrana semipermeabile. L’interazione tra le nove membrane sovrapposte consentirà l’esistenza dell’Essere umano. Ciascuna membrana costituisce un sistema formale, insieme ne costituiscono un altro. Se consideriamo il termine “evoluzione” solo da un profilo etimologico, scevro dalle accezioni sociologiche, biologiche ecc., scopriremo che deriva dal latino vòlvere con il significato di movimento curvilineo; potremmo allora dire con J. Smuts, padre del concetto moderno di olismo, che «L’evoluzione altro non è che lo sviluppo graduale e la stratificazione di una serie progressiva di insiemi, che si estendono dalle origini inorganiche fino ai più alti livelli di creazione spirituale.».
Piano energetico
L’universo è un infinito agglomerato di campi di energia simili a fibre di luce.
Don Juan
Cosa intendo per energia
La parola energia sembra essere un contenitore, un significante per tutti quei concetti che esprimono movimento, con significati che spaziano da forza, potenza, soffio, attività, lavoro; a seconda delle lingue e delle culture prese in considerazione.
Per piano energetico intendo comprendere l'insieme di quei fenomeni non ascrivibili altrove, e che spaziano dalla credenza al paranormale, dalla fisica quantistica alla magia.
Prendiamo le distanze
Afflitti, come siamo sempre stati, dal dover credere in qualcosa di certo, qualcosa che ci rassicuri dalla incertezza in cui versiamo, siamo passati dalle chiese religiose a quelle scientifiche, dall'ignoranza della fede alla fede nell'ignoranza. La differenza sostanziale tra la religione e la scienza è che la prima offre quasi sempre la stessa verità, la seconda ne offre quasi sempre una nuova.
Lasciando a questa digressione ancora qualche rigo, è opportuno rammentare che l'intento originale della religione consiste nel ri-legare, ovvero connettere ciò che si era disconnesso: l'anima(le) uomo con la sua natura divina. La dimenticanza di tale natura da parte dell'animale uomo risiede forse nel progressivo aumento di facoltà fisiche, sociali e cognitive che portarono il nostro antenato a sviluppare capacità di astrazione. Tale capacità da un lato forniva sempre maggiori strumenti di dominio del mondo, dall'altro cambiava per sempre nell'uomo la qualità della coscienza e della consapevolezza, proiettandolo fuori dal "qui e ora", in un mondo fatto non più solo di passato (esperienze) e di presente (opportunità), ma anche di futuro (incertezza). La consapevolezza del futuro generò l'incertezza del domani, l'angoscia della morte. La religione costituì il tentativo di non perdere la pienezza del "qui e ora" nonostante queste nuove facoltà cognitive.
In questa sede, comunque, ci basti considerare che la religione usa esperienze personali in ambito energetico, ovvero non ascrivibili ad altro che non sia il sacro, per costruire un impianto teorico destinato a sollevare l'uomo dalla ignoranza della propria natura divina. Gli usi e gli abusi di potere temporale da parte delle religioni sono di pertinenza dello storico e del teologo e non competono questa indagine.
La scienza dal canto suo nasce come indagine del mondo reale per quel desiderio di conoscenza, nato probabilmente per dare risposte certe a domande che la religione non riusciva a soddisfare. Per distinguersi da verità non dimostrabili - la religione enuncia la propria verità attraverso quello che Peirce definisce "metodo dell'autorità" - la scienza aveva bisogno di verità condivisibili e dimostrabili. I primi scienziati sono filosofi, matematici, astrologi; poi da Galilei in poi cambia qualcosa e con Popper si arriva a stabilire il confine tra ciò che è scientifico e ciò che non lo è: «Chiamo problema della demarcazione il problema di trovare un criterio che ci metta in grado di distinguere tra le scienze empiriche da un lato, e matematica, logica e sistemi metafisici dall'altro» (Karl Popper, Logica della scoperta scientifica). L'estremo ricorso all’antico motto latino "divide et impera", usato in politica per controllare i popoli e recentemente in informatica per risolvere problemi, ha prodotto una specializzazione e una settorializzazione delle conoscenze in ogni ambito della cultura contemporanea, così da creare super esperti di un determinato ambito che spesso sono super ignoranti degli ambiti limitrofi. E così anche la scienza è diventata "le scienze", quelle dure e quelle molli in relazione al rigore adottato e all’ambito culturale di appartenenza. La parola resta al singolare solo quando serve per affermare la supremazia di una posizione sulle altre, dimenticando che forse proprio la scienza è il campo di ricerca umano che più di ogni altro ha contraddetto sé stesso nel corso degli anni. E così accade che la scienza, nata per sollevare l'uomo dall'ignoranza della fede, sposti su di sé il "metodo dell'autorità" e pretenda fede nei propri raggiungimenti, troppo spesso poco durevoli, perché risultati poi fallaci.
Di cosa parlo
Prese le debite distanze da scienza e religione, l'energia di cui parlo la possiamo rintracciare in primis in quella cultura popolare, che riesce a superare i secoli, generazione dopo generazione, pur non potendo contare su stakeholder o indottrinamenti della classe egemone. Preghiere, mantra, meditazione, rituali di passaggio e di iniziazione sono la testimonianza della circolazione di una forma di energia, non dimostrabile con gli attuali strumenti e metodi di indagine, eppure percepita come efficace. Discipline millenarie come lo Yoga e le arti marziali ci tramandano visioni, talvolta colorite e incredibili, di questa energia che sostiene il mondo e si sostanzia poi nei nostri corpi, costituendo sistemi funzionali e assumendo ruoli vitali.
Se passiamo a quelle che vengono definite medicine tradizionali e alternative o complementari o integrative, intendendo tutte quelle pratiche di cura della salute che esulano dalla medicina ufficiale occidentale, ci troveremo di fronte ancora allo stesso fenomeno: senza alcuno sponsor che ne promuova la dimostrata efficacia, queste pratiche sono diffuse in tutto il mondo e sono in costante crescita. Una crescita testimoniata dal fatto che già nell'ultimo decennio del ventesimo secolo, alcune compagnie di assicurazione in USA offrivano polizze sanitarie più convenienti a quei sottoscrittori che usavano servirsi di medicine non convenzionali, cosiddette CAM. In molti paesi europei si pratica l'agopuntura in ospedali pubblici, eppure la Medicina Tradizionale Cinese non possiede ad oggi alcuna spiegazione che potremmo definire scientifica... semplicemente funziona. E che dire dell'Omeopatia, che i detrattori, a ragion veduta, definiscono priva di fondamento farmacologico, ma i cui prodotti in Italia vengono venduti in farmacia e prescritti da medici? La risposta è sempre la stessa: per qualcuno evidentemente funziona, quindi ha un mercato.
Non scriverò in questo articolo delle mani, dal massaggio alla preghiera, dalla manipolazione alla pranoterapia, in quanto vi dedicherò un articolo a parte più in là in questo viaggio.
Un'altra miniera di forme di energia a buon mercato è poi costituita dai raggiungimenti della meccanica quantistica e da molte ipotesi della fisica teorica. Nel frequente tentativo di trovare fondamenta e giustificazioni scientifiche alle proprie teorie i rappresentanti della New Age ricorrono sovente a quello che definirei "universo quantistico", facendo paralleli e mutuando principi purtroppo spesso in modo arbitrario e privo di rigore logico. Leggendo saggistica scientifica divulgativa non possiamo però non restare affascinati dalla vastità di similitudini che intercorrono tra tesi filosofiche e spirituali da un lato e teorie e scoperte scientifiche dall'altro.
Libero dal bisogno di trovare una qualche dimostrazione o fondamento dell'esistenza di un piano energetico, mi limito a suggerire di essere agnostici, ovvero di sospendere il giudizio in attesa di una conoscenza, sia che provenga da un raggiungimento scientifico sia da una propria esperienza. Si pensi allo scetticismo di mia nonna Consiglia, già incredula della scatola-televisore, se le avessi detto che un giorno, in futuro, delle microonde e dei semiconduttori avrebbero permesso a delle scatoline-cellulari di guardarci e parlarci a distanza e senza fili. La posizione agnostica contempla la possibilità dell'esistenza di un piano energetico, senza per questo fondare su di esso lo sviluppo di ulteriori riflessioni o pratiche. Io dal canto mio adotto teorie, tecniche e strumenti sulla base della mia esperienza, dagli aromi ai cristalli, dai meridiani della MTC ai chakra, senza per questo considerarli antagonisti delle scienze accademiche.
La verità è che ci siamo limitati a codificare ed elencare le nostre facoltà attraverso un filtro normalizzante e oggettivo. La nostra visione del mondo si basa su quegli elenchi e codifiche. Ci autolimitiamo in base a ciò che crediamo sia oggettivo e consideriamo anomali tutti quei fenomeni che si svolgono al di fuori della conformità. E così le intuizioni diventano episodi fortuiti, i déjà vu una alterazione dei ricordi, i segnali diventano bias di conferma. Tutte le altre manifestazioni di facoltà non codificate rientrano nel calderone studiato dalla parapsicologia e classificato come percezioni extrasensoriali o fenomeni paranormali... baggianate. La mia professione, operatore olistico, viene in Italia classificata da un codice Ateco 96.09.09, corrispondente alla definizione "Altre attività di servizi per la persona nca", che raggruppa tra gli altri spiritisti e lustrascarpe.
Verrebbe da sorridere, ma invece è solo una delle tante conferme che il nostro mondo è solo una visione del mondo, che la vigente cultura meccanicista impone nello strenuo tentativo di normalizzare e imbrigliare la molteplicità.
Piano atomico
Piccolissima stella, sembravi per sempre sepolta, e,
nel metallo, nascosto il tuo diabolico fuoco.
Neruda
Se dico atomica…
la mente di mio figlio, come pure la mia e forse la tua, procede senza indugio al sostantivo bomba. "Con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, uomo del mio tempo" (Parafrasi da Uomo del mio tempo - Salvatore Quasimodo), hai condizionato per sempre il significato di questa parola. In un successivo articolo parlerò della potenza della parola, di come al variare del significante corrisponda il variare del significato e, di conseguenza, come il cambiare il nome alle cose sia la via più breve per cambiare la coscienza individuale e la cultura collettiva. Ma torniamo al piano atomico.
Circoscriviamo le riflessioni
Per piano atomico altro non intendo che l'insieme di quei fenomeni che noialtri, non scienziati, diamo per scontati in molti casi e che ignoriamo del tutto in altri. Tra quelli che diamo per scontati rientrano tutti quelli che consentono di utilizzare servizi a elevato contenuto tecnologico: dalle microonde usate per cuocere il cibo a quelle usate dai cellulari, passando per diagnostica medica, ponti radio, produzione di energia elettrica, comunicazioni satellitari, armi e tanto altro ancora. Il sottoinsieme dei fenomeni atomici che invece noialtri ignoriamo è costituito da fenomeni naturali, quali le radiazioni terrestri e quelle cosmiche; radiazioni senza le quali non sarebbe esistita la vita, ma che costituiscono al contempo una potenziale minaccia alla prosecuzione della vita stessa in caso di sovraesposizione.
Entriamo nel piano
Per passare dal mondo del tangibile a quello dell’intangibile saliremo a bordo di Smeraldo, il nostro artefatto multidimensionale. Vi rammento che non abbiamo usato Smeraldo per la nostra esplorazione del piano energetico in quanto non avremmo potuto osservare nulla di misurabile e/o codificabile; avremmo potuto solo fare una esperienza personale, che in quanto tale non poteva essere trasmessa che con l’arte o raccontata mediante l’ennesimo impianto di credenze, perdendo con le parole la dimensione atemporale e aspaziale tipica dei sogni e delle visioni.
Senza indugiare sui piani fisiologico, biologico e chimico attraversati nel tragitto, mi sembra di intravedere tre sagome in atteggiamenti tipici del simposio. Mi piace credere di avere avuto una allucinazione, visto che Smeraldo nulla segnala, e di aver riconosciuto Leucippo, Democrito ed Epicuro, intenti a ridere della vaghezza delle loro idee e della ignoranza delle mie certezze. Finalmente Smeraldo mi consegna l’atomo: non riesco a distinguere nulla. Allora Smeraldo mi fornisce tutti i modelli atomici disponibili, quello deterministico e quello probabilistico, mi elenca le particelle, le loro relazioni… La mia mente immagina i modelli visti in rappresentazioni grafiche, ma il mio limitato occhio non distingue, sento solo movimento e barlumi di materia. Mi viene voglia di chiedere asilo al simposio e ridere con loro. Scopro che le uniche cose che sappiamo del piano atomico sono frutto di tentativi empirici andati a buon fine, giustificati e spiegati di volta in volta da teorie spesso in contrasto tra loro. Insomma sono maggiori in quantità e qualità le nostre lacune di quante siano le nostre certezze. Dannata particella e/o particella di Dio (bosone di Higgs).
In definitiva
L'intero articolo non intende esplorare un campo di studi così vasto da interessare ieri filosofi e matematici, oggi fisici e chimici. Vorrei soltanto trasmettere la consapevolezza che esiste una fitta trama invisibile, eppure misurabile e parzialmente manipolabile, di elementi in continuo movimento, che costituiscono i mattoncini base di tutto ciò che esiste. Una consapevolezza apparentemente inutilizzabile, per non dire inutile, ai fini delle scelte che quotidianamente siamo chiamati a compiere. Un po' come appare inutile ai più lo studio delle lingue cosiddette morte, studio che invece contribuisce alla formazione di una mente meno esposta a quel fenomeno cui De Mauro diede il nome di analfabetismo funzionale. Definizione che oggi, a mio avviso, non sembra più adeguata a un fenomeno che ha acquistato una dimensione quantitativamente e qualitativamente tanto ampia, da farmi pensare che sarebbe meglio descriverlo come cultura funzionale, ovvero una cultura in cui all'uomo non serve più pensare, gli basta consumare. Oggi non è necessario esercitare il proprio senso critico, conoscere la storia, ma basta scegliere l'opinione più credibile. E questo accade nei paesi più ricchi come in quelli più poveri, con le dovute e sostanziali differenze, che, aldilà degli aspetti relativi alla qualità della vita, consistono nel fatto che i poveri del mondo, a differenza dei ricchi, non hanno minori facoltà di scelta, possono solo adeguarsi a regole scandite dai flussi finanziari e non più dai cicli circadiani. Tutto ciò si realizza nel concreto grazie a strumenti tecnologici che tessono una sofisticata rete di onde tutto intorno e dentro di noi. E così possiamo videochiamare un amico, seduti sul divano, mentre continua uno streaming in tv e aspettiamo la consegna di cibi scelti e pagati online... clic e pulsanti ci rendono la vita comoda. Quanto questa fitta e invisibile rete di onde influenzi il nostro corpo, le sue funzioni, da quelle enteriche a quelle cerebrali, non ci è dato saperlo. Possiamo solo fidarci delle informazioni di enti di controllo, le cui risorse economiche per eseguire test e sperimentazioni sono di gran lunga inferiori a quelle messe in campo dai produttori. Possiamo fidarci? Non è necessario, però dobbiamo accettarlo perché l'evoluzione della specie umana non segue principii etici, quanto piuttosto scelte economico-finanziarie che offrono qualcosa che appare necessario e irrinunciabile: la comodità. La comodità è la risposta materialista al bisogno inconscio di certezze; ci induce a credere di avere più tempo perché puoi fare più cose e a essere più sicuri perché puoi contare sulla ripetibilità. La comodità genera le abitudini, che diventano stili di vita. Gli stili di vita diventano la nuova normalità, il nuovo contesto, dove ci vengono offerte nuove comodità, che diventeranno nuove abitudini, che saranno nuovi stili di vita. Sulla comodità e sulle abitudini tornerò in un successivo articolo; in questo ci basti considerare che le comodità arrivano sotto forma di nuove funzionalità, nuovi ordigni, nuovi gadget.
Per inciso fu proprio gadget il nome dato alla prima bomba atomica fatta brillare dagli U.S.A., prima di sganciare "ragazzino" e "grassone" sul suolo e sugli Esseri viventi di Hiroshima e Nagasaki.
"Ma non è questo, non è questo soltanto. ...l'occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c'è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l'uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l'ordigno non ha più alcuna relazione con l'arto. Ed è l'ordigno che crea la malattia con l'abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice." (Italo Svevo, La coscienza di Zeno, 1923, Bologna).
Piano chimico
veder la vita e la morte,
la sintesi del mondo che
in spazi profondi
si guardano e ci abbracciano.
Federico García Lorca
Definizione
Sapere che c'è un piano in cui gli atomi possono essere considerati come elementi distinti in base alla loro composizione non cambia apparentemente il nostro punto di vista sul mondo. Eppure è proprio in queste differenti quantità di elementi subatomici che il mondo, così come lo conosciamo, prende a esistere. Se credi in Dio, questo piano potresti considerarlo la sua cucina. Il luogo in cui spostando qualche particella accade la Creazione. Per piano chimico non intendo quello caratterizzato da uomini intenti a fare Dio. Nel passato gli alchimisti del solve et coagula, che fraintendendo il piano esoterico con quello della magia, cercavano la trasmutazione del metallo in oro, la guarigione da tutte le malattie, la resurrezione dalla morte. Ai giorni nostri curiosi scienziati, per lo più fisici, sintetizzano elementi chimici dalla vita breve. Si tratta più che altro di variazioni atomiche temporanee, la cui utilità in alcuni casi non si scorge, in altri ha finalità belliche in altri ancora ha scopi industriali. Il piano chimico a cui mi riferisco costituisce il substrato della materia tutta, organica e inorganica, è il piano in cui l'energia atomica si trasforma in esistente. “È sufficiente che una particella abbia energia per avere un senso significativo dell’esistenza“ (Flip Tanedo, assistente professore di fisica presso l’Università della California, a Riverside).
La triste realtà
è che il piccolo chimico non ha mai smesso di giocare. Così assorto nei suoi esperimenti, chiuso tra quattro mura pagate dalla lobby di turno, il piccolo chimico ha prodotto il napalm, l'iprite, il sarin, il soman… la lista è lunga, come è lungo l’elenco di vittime civili e militari. Nel laboratorio del piccolo chimico sono ospiti costanti fisici e biologi, dando luogo ad altri veleni come il polonio per i primi e l’antrace per i secondi. “Uno studioso nel suo laboratorio non è solo un tecnico, è anche un bambino messo di fronte a fenomeni naturali che lo impressionano come una fiaba – e ancora – è proprio questo spirito d'avventura che mi sembra impossibile da sradicare, e che ha molto in comune con la curiosità.” Così si esprimeva nel 1934 Marie Curie dopo due premi Nobel… ancora non sapeva di Arafat e Litvinenko, avvelenati con il polonio.
Ma il piccolo chimico non si limita a costruire futuri veleni utilizzabili come armi di distruzione di massa; al soldo dei laboratori di ricerca, in cerca di una qualche fama, inventa sostanze che inquinano l’ambiente, solo perché utili all’industria per aumentare profitti e ridurre i costi. Di oltre 130 milioni di sostanze chimiche registrate, solo meno di 400.000 sono regolamentate nei mercati internazionali. Tutte comunque finiscono nelle acque dei fiumi, dei laghi, degli oceani, minando la radice stessa della vita. Scoperte e costruite per curiosità e fama, le sostanze chimiche diventano veleni. Parafrasando Gibran potrei dire: “le vostre scoperte non sono scoperte vostre. Sono le scoperte della brama che la curiosità ha di sé stessa.”
Il piccolo chimico non ha la responsabilità degli usi nefasti, che l’oligarchia di turno fa con le sue scoperte. Il piccolo chimico ha sempre un gran cervello, talvolta ha buon cuore e principii etici, di rado ha consapevolezza spirituale. Quella consapevolezza che manca del tutto agli uomini, per la verità la maggioranza, che abbracciano il potere per sentirsi vivi, che per preservare le proprie vite sono cinici verso le vite altrui, che bramano di essere famosi per non sentirsi inutili.
La scienza fondamentale
Piano intermedio tra quello atomico e quello biologico, la chimica abbraccia praticamente tutti i piani dell’esistenza, prendendo l’appellativo di fondamentale e chiamata in causa per giustificare ciò che, in assenza di una consapevolezza spirituale, appare come inspiegabile: la chimica dell’amore. La percezione conscia o inconscia degli odori è sicuramente uno dei fattori su cui si basa la prosecuzione della vita, l’organizzazione sociale, l’evoluzione delle specie. Ma la chimica non spiega l’esistenza, non spiega l'amore... non spiega la vita. La chimica rivela solo i meccanismi con i quali gli atomi si combinano per essere classificati come elementi e gli elementi si combinano per essere classificati come molecole. Le informazioni veicolate da queste combinazioni ci sono ignote almeno quanto ci sono noti i meccanismi delle stesse... conosciamo il supporto, ma non conosciamo il contenuto: l'informazione. Come suggerisce Dethlefsen, non è accumulando libri o analizzando al microscopio le pagine e le copertine che giungiamo all'opera.
La chimica del piccolo chimico, come quasi tutte le attività umane, è dualistica. È fatta di sciogli e coagula, dividi e unisci, assorbi e rifletti, separa e collega… il piccolo chimico procede per intuizioni e sperimentazioni, in cerca di successo dai risultati. La chimica non è questo, non è solo questo. È anche e soprattutto l’ambito in cui le informazioni usano i supporti per essere veicolate, per essere scambiate, per essere processi. Le informazioni sono vitali quanto i supporti, ma delle prime il piccolo chimico ignora persino l’esistenza.
Piano biologico
Padre nostro che sei nei cieli
Restaci pure
Quanto a noi resteremo sulla terra
Che a volte è così bella
Jacques Prévert
Per amor di Bio
Se mai sia esistito un albero della conoscenza a separare, con i suoi frutti allettanti, il paradiso dalla terra, questo sarebbe il piano biologico. È questo il piano di indagine che ha portato l'uomo a sentirsi abbastanza forte da professare l'ateismo. Gli atei erano stati, nel passato dei primi padri della Chiesa cristiana, i credenti di altre religioni. Con il naturalista scientificato (con la parola "scientificazione", intendo significare quel lento processo di sostituzione di una rappresentazione fideistica del mondo di tipo teologico a quella fideistica di tipo scientifico), padre della biologia, ateo diventa non credente: Dio non esiste, esiste Bio. Se con la ricerca nel piano chimico siamo entrati nella cucina di Dio, con quella nel piano biologico ci siamo impossessati dell’intero ristorante, mandando in pensione il vecchio conduttore. Ma se qualcuno volesse ancora credere in Dio potrebbe comunque farlo: abbiamo solo scoperto che usa la matematica, che non esiste, ma non che non È.
Quello che non ho
è un camice bianco, quindi non sono in grado, ma neanche mi interesserebbe, di entrare nello specifico delle scale che compongono questo piano, da quella molecolare a quella evoluzionistica. Il campo di studi della biologia si espande in tutte le direzioni possibili per abbracciare il fenomeno della vita sulla terra. Il fenomeno è oggi il nostro campo di studi, il noumeno è morto. La funzionalità, intesa nella sua accezione di essere adatto allo scopo previsto, non ha risparmiato la biologia. Si indaga ciò che sembra utile, ma si ricerca ciò che produrrà utili. Le eccezioni sono poche, anche perché i fondi destinati alla ricerca sono sempre più di provenienza privata, quindi regolati da interessi economici. Potrei dire, senza molto timore di smentita, che la scienza non esiste più, esiste la ricerca scientifica, ovvero settori di impresa che indagano i fenomeni in cerca di mercati. Anche la funzionalità intesa nella sua accezione di facilità d’uso non ha risparmiato la biologia. La funzione informatica del “copia/taglia e incolla” è arrivata in biologia con la CRISPR-Cas9 (dialogativamente crisper), un sistema con cui anche biologi-fai-da-te possono giocare con le sequenze di DNA, alla ricerca di nuovi fenomeni biologici. Etichettati come bio-hacker, alcuni biologi, non irregimentati in laboratori di ricerca riconosciuti, alimentano lo sviluppo del biologo-fai-da-te, in grado di modificare sequenze di DNA acquistando economici kit da laboratorio, corredati da istruzioni scritte e video. Nascono così tentativi di rendere fluorescenti piccoli animali o più muscolosi soggetti mingherlini. Sebbene questo fenomeno possa apparire distopico e intimorire, la sua espansione è attualmente circoscritta per quantità di biologi-fai-da-te e per qualità dei risultati ottenibili con tecniche di basso costo. La vera minaccia alla Vita è costituita di laboratori di ricerca riconosciuti. Nati e finanziati ufficialmente per trovare cure alle malattie, si sono evoluti per far fronte a emergenze virali o batteriche e affrontare pandemie e panzoozie. Ma il piccolo chimico, insito nel biologo, ha conservato e modificato virus e batteri, creando armi batteriologiche di distruzione di massa. E così oggi abbiamo celle frigorifere che celano in provetta killer micidiali, pronti a scongelarsi in caso di incidenti o per mano di malintenzionati.
Una esperienza personale
La scienza della Vita dovrebbe essere altro, e invece contribuisce, indirizzando la medicina, a creare una cultura della sopravvivenza e non della Vita.
La percezione di stati di pericolo, che richiedono un governo dell'emergenza, ha probabilmente caratterizzato da sempre la gestione del potere. Necessitando di largo consenso sociale, sia la vecchia aristocrazia che la giovane democrazia e il neonato governo bancario hanno sempre utilizzato la figura del nemico e l'incombenza della minaccia per compattare i gruppi sociali e conseguire il consenso della maggioranza. La pandemia da COVID-19, a prescindere se si sia generata a seguito di zoonosi o di manipolazioni, ha mostrato come un nemico invisibile potesse generare una ondata di angoscia collettiva di dimensioni epocali. Biologi di ogni ordine e grado hanno detto la loro, spesso smentiti a distanza di poche settimane, talvolta addirittura da sé stessi, sperando che la propria autorevolezza venisse salvaguardata dalla memoria corta. La gestione dell'emergenza ha polarizzato le posizioni in estremismi, tanto da portare taluni a saltare la fila per vaccinarsi prima del proprio turno e altri, all'opposto, a comprare falsi tamponi positivi o addirittura false vaccinazioni per evitare la puntura obbligatoria. La mia condizione fortunata di non temere il covid né la vaccinazione più di quanto non tema la sigaretta o guidare lo scooter, mi ha consentito un punto di vista privilegiato. Avendo io scelto di non vaccinarmi fino all'obbligo, ovvero rispettare la legge in assenza di certezze altre, posso testimoniare quanto l'angoscia abbia permeato gli animi di tutti, siano stati essi etichettati provax o novax. I primi, prima di vaccinarmi, mi manifestavano le proprie preoccupazioni sulla pericolosità della mia scelta nei confronti della mia e dell'altrui salute. I secondi, dopo essermi vaccinato, mi manifestavano le loro preoccupazioni sulla pericolosità della mia nuova condizione nei confronti della mia salute. Entrambi i gruppi avevano e hanno i propri motivi per credere ciò che più li rassicura, ciascuno il suo biologo di riferimento, ciascuno il proprio bias di conferma... tutti sicuri, nell'ignoranza, di essere nel giusto. E intanto l'angoscia è avanzata, come il buio su Fantasia, oscurando la cultura della Vita in cambio di quella della sopravvivenza.
Tutti concentrati sul virus e sul sistema immunitario specifico, nella grande battaglia ideologica e finanziaria della medicina e della sanità, la maggior parte dei biologi si è schierata. La biologia si è polarizzata sul fattore oggettivo prendendo posizioni "contro". Il biologo sa, almeno nei termini delle specifiche sue competenze, quanto è importante il sistema immunitario aspecifico, quanto il fattore soggettivo possa influenzare l'esito di qualsiasi malattia. Avrebbe potuto supportare i medici e, tramite loro, gli uomini comuni ad adottare comportamenti alimentari, fisici e psicologici adeguati, invece di stare a guardare solo presidi sanitari e protocolli troppo spesso inadeguati. Illuminato dai fari delle telecamere, il nostro biologo non ha resistito a pronunciare il verbo, a vivere il suo momento di gloria come sacerdote della scienza.
Quanto a noi resteremo sulla terra
Come essere spirituale che vive un’esperienza umana («Noi non siamo esseri umani che vivono un’esperienza spirituale. Noi siamo esseri spirituali che vivono un’esperienza umana», R. Altea cita Pierre Teilhard de Chardin.), non posso che auspicare che il verso di Prévert sia benaugurante e tanti spiriti ancora possano fare l’esperienza di incarnarsi su questa terra. Mi associo al poeta nel pensare che a volte è così bella questa terra, così come condivido l’intera poesia, che mostra come la bellezza consista anche nelle contraddizioni, con i suoi buoni bambini e i suoi cattivi soggetti. Ma Prévert, pervicacemente fiducioso in un trionfo dell’amore, non può non apporre l’inciso “a volte”. La terra è così bella, a volte; verrebbe da chiedersi e le altre volte com’è la terra?
Dopo essere sceso con Smeraldo nei piani atomico, chimico e biologico e aver fatto le osservazioni dovute, ho paura che l’essere umano non resterà a lungo sulla terra, almeno non nell’attuale forma e configurazione e non su quella terra come siamo abituati oggi a pensarla. La vita sulla terra è sempre più caratterizzata dal doversi continuamente adattare all’avanzare del livello di entropia che l’uomo produce. Dopo le proposte di Era Antropozoica, Noosfera, Antrocene, Antropocene, Capitolocene e Wasteocene, avanzate da illustri studiosi per descrivere l’era geologica in cui domina l’influenza del genere umano, sarebbe il caso di riconoscerla come Entropocene?
Il primo confine
Pensi di essere un corpo o di avere un corpo?
Ken Wilber
La nostra identità
ovvero a cosa è servito scrivere dei piani energetico, atomico, chimico e biologico?
Mi perdonino gli integralisti di Castaneda se prendo in prestito la spiegazione che Don Juan fornisce a proposito della differenza tra Nagual e Tonal. Vado a memoria, ovvero l'unica fonte di fallace e effettiva conoscenza di cui disponiamo nel nostro agire: quello che abbiamo assimilato e che va a costituire il nostro universo-pensiero. (Per universo-pensiero intendo quell'insieme, potenzialmente infinito, ma praticamente soggettivo, quindi finito, all'interno del quale possiamo svolgere i processi emotivi, psicologici e cognitivi che caratterizzano la nostra identità. I confini di questo insieme sono determinati da una serie enorme di fattori spirituali, genetici e ambientali che stimolano e limitano la nostra esistenza). Il Tonal è descrivibile come ciò che abbiamo davanti ai nostri sensi, per esempio un tavolo e tutto ciò che c'è sopra, comprese le nostre interazioni. Il Nagual è tutto ciò che non abbiamo davanti ai nostri sensi, ma che consente al tavolo di esistere.
Nessun uomo comune, ovvero tutti noi che non siamo guerrieri in senso tolteco, si pone domande quando usa oggetti e interagisce con persone presenti a quel tavolo. Eppure, ciascun oggetto e ciascuna persona esistono in quanto sono sostenuti da energie non visibili. Il mondo invisibile sostiene quello visibile. Un guerriero ne è consapevole e utilizza quelle energie, ma questa è un'altra storia. L'uomo comune costruisce la propria identità con riferimento solo al mondo visibile, tranne rare eccezioni. Il mondo visibile è fatto di evidenze sensoriali, che andremo via via a codificare in una visione dualistica: fame/sazietà, maschio/femmina, duro/morbido, giorno/notte ecc. Appare chiaro quindi che nessuno di noi si identifica con le proprie cellule, né con gli elementi chimici presenti nel corpo, né tantomeno con gli atomi che ci compongono. Del piano energetico poi manco a parlarne, se escludiamo i contesti di fede dottrinale. E invece, tutto ciò che siamo, meglio sarebbe dire ciò che abbiamo coscienza di essere, si fonda su questi piani invisibili. Non ci confonda il fatto che, come scienziati, possiamo rendere visibili gli elementi di tali piani con l'ausilio di strumentazioni. Questa forma di conoscenza non influenza la nostra formazione identitaria. Il nostro riconoscerci come individui non include di cosa siamo fatti, né di come sia possibile, né perché sia accaduto che siamo nati. Di fatto il nostro riconoscimento comincia solo sul piano emozionale nel momento in cui il nostro Sé si sostanzia nel piano fisiologico, e comincia a fare esperienza del corpo e dell'ambiente. Stabiliamo quindi un primo confine tra i piani invisibili e quelli visibili. La descrizione dei primi quattro piani e delle loro implicazioni relative alla salute personale, sociale e ambientale era fondamentale per imboccare la giusta carreggiata da percorrere per l'indagine dei piani successivi. Era anche necessario per me a scopo catartico, ovvero per ripulire il mio pensiero da scorie culturali, retaggio di ideologie politiche e moralismo dualistico.
Visibile e invisibile
Ciò che è invisibile è ignoto. L'ignoto stimola le nostre menti producendo paura, fede, curiosità. Impegnati costantemente nella gestione proprietaria del mondo visibile, il mio corpo, il mio consorte, i miei genitori ecc., l'invisibile è spesso solo un inquietante fattore di paura. Paura di perdere qualcosa di quella identità costruita con riferimento al solo mondo visibile. I piani invisibili potrebbero essere fonte di forza vitale e di ispirazione e invece sono i piani che maggiormente terrorizzano l'uomo. Non bastando virus e batteri a minacciare la sopravvivenza, abbiamo inventato le nano-particelle (per la verità esistevano già, ma facevano parte del sistema terra, ovvero erano integrate con i processi vitali). Una moltitudine di invisibili particelle, generate sia incidentalmente sia appositamente, abitano la biosfera e, insieme a virus e batteri, aprono le porte dell'angoscia. L'invisibile è diventato il regno da sfuggire a tutti i costi e il visibile è diventato il mondo da plasmare e adattare ai nostri usi e consumi. Non importa se, perseguendo questa strada, alimentiamo la pericolosità del regno invisibile, aumentando l'inquinamento e l'entropia. L'attuale fede nella scienza ci promette un futuro sempre migliore, generando bisogni e costumi relativi al mondo visibile. Nuove tecnologie offrono nuovi servizi, che rendono la vita più comoda e creano nuove abitudini. L'invisibile, una volta territorio delle religioni, oggi è territorio delle scienze, in entrambi i casi un territorio ignoto per l'uomo comune.
Credibile e incredibile
Se sul piano individuale della formazione identitaria vale l'antinomia visibile/invisibile, sul piano sociale della formazione culturale questa diventa credibile/incredibile. Le religioni prima e le scienze poi sono state usate per rendere meno terrifico il mondo invisibile e meno incerto quello visibile. Essendo impossibile cancellare dalle coscienze la presenza dei fenomeni invisibili, religioni e scienze hanno generato le credenze: ci sono cose invisibili che sono credibili e cose che non lo sono. Come un male, se comune, diventa mezzo gaudio, così la credenza, se condivisa, diventa mezza norma. Qualcuno potrebbe chiedersi: e l'altra metà della norma? L'altra metà consiste nel rendere incredibili le cose visibili, mediante l'uso della propaganda religiosa, politica e scientifica. Incredibile diventa così ciò che contraddice la norma e va stigmatizzato.
Un esempio di come le due antinomie vengano gestite ad arte è sotto i nostri occhi: la virtualizzazione della valuta, un processo che procede dal credibile-visibile al credibile-invisibile. I soldi che usiamo ormai non sono rappresentativi di un qualche valore reale, bensì hanno un valore convenzionale: sono visibili, ovvero li tocchiamo, e sono credibili, ovvero tutti li riconosciamo. Con la virtualizzazione dei pagamenti, conti on-line, carte di debito e di credito, azioni e criptovalute i soldi restano credibili, ma diventano intangibili, quindi invisibili. Potrei fare altri esempi nel campo della salute come in quello della politica, ma credo che spetti al lettore ragionare, interpretare e comprendere.
Nasce l’alienazione
I processi individuali e sociali, di cui sopra, hanno portato l’invisibile e l’incredibile a essere relegati fuori dal nostro orizzonte cosciente, a negarli. Ma negare non è accettare la realtà, quanto piuttosto tollerarla. Il costo da pagare per questa operazione è l’alienazione. Siamo alienati e conduciamo civiltà tecnologiche alienanti. Da questa alienazione nascono disagi esistenziali che non trovano riscontro in civiltà meno tecnologiche o comunque meno ricche. Come molti autori di fantascienza hanno anticipato, il genere umano è profondamente diviso, non da razze e religioni, ma da economie e relative condizioni. Vi è un piccolo mondo di ricchi, sfruttatori e alienati e un grande mondo di poveri, sfruttati e in via di alienazione.
Essere o possedere
Possiedo un corpo o sono un corpo, chiede Wilber. La nostra formazione identitaria, basata sul visibile e il credibile, sono alto/basso, magro/grasso, biondo/bruno ecc., ci porterebbe a supporre che la risposta più frequente sia quella di riconoscerci nel corpo. Ma la risposta, provate a chiedervelo o chiedete in giro, è quasi sempre quella di avere un corpo. L'essere umano del piccolo mondo ricco si riconosce più che altro nelle proprie emozioni e, in parte minoritaria, nei propri sentimenti. Nel primo caso il corpo è un oggetto da plasmare, nel secondo un veicolo da usare. In entrambi i casi il corpo è un oggetto, quindi non siamo il corpo, ma abbiamo un corpo. Ma la domanda di Wilber e le conseguenti risposte sono intrise di un dualismo umanocentrico, dal quale è difficile liberarsi omettendo l'invisibile e l'incredibile. Non abbiamo un corpo, né tantomeno siamo un corpo. Il corpo è una frazione dell'Essere, è l'esperienza dell'esistenza. Finché non ce ne faremo una ragione, non potremo che ragionare in termini dualistici, angosciati dalla morte e dalle malattie, in uno strenuo tentativo di sopravvivere, dimenticando di vivere.
Esistenza come portato dei piani invisibili
I vostri figli non sono figli vostri. Sono i figli e le figlie della brama che la vita ha di sé stessa
Kahlil Gibran
La meraviglia dell'esistenza
Dai piani invisibili, come per magia, emerge il nascituro. L'incanto della vita, la bellezza della vita. "Ogne scarrafone è bello a mamma soja" è la versione napoletana del pensiero di Hume, espresso ne "Le regole del gusto": «La bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente che le contempla ed ogni mente percepisce una diversa bellezza.». Il fantastico empirista risolve l'argomento, attribuendo alla mente la facoltà di percepire la bellezza, contemplandola. La percezione è soggettiva, quindi soggettiva è l'attribuzione di bellezza. La contemplazione per Hume non è l'atto mistico del Cristianesimo, è l'atto di circoscrivere l'osservazione a un ambito, un atto della mente. Ma la versione napoletana va oltre e inserisce la variabile del legame esistente tra osservato e osservatore. La mente della mamma ha, sì, una percezione soggettiva, che proviene, sì, da una circoscrizione dell'osservazione, ma tutto avviene in funzione del legame di amore genitoriale. È l'amore che cambia la condizione dell'osservatore e questo, inevitabilmente, cambia la condizione dell'osservato. L'Amore è la luce che illumina il buio, è l'energia che rende vita ciò che prima era non-vita. La vita, e con essa la bellezza, è un atto di Amore, non della mente, o meglio non della mente senza Amore. Per essere condizionante però l'Amore deve essere incondizionato, non un atto di possesso né di gratificazione. L'Amore, incondizionato, rende il creato meraviglioso per qualsiasi mente, sia il creato rappresentato da un figlio sia da uno scarabeo. Per piano fisiologico intendo il piano in cui si concretizzano i piani invisibili, dando vita al creato: una pietra, una stella, un organismo. I piani invisibili concorrono a creare quell'unità composita unica e irripetibile che va sotto il nome di individuo, ovvero entità distinguibile e non divisibile. Che meraviglia! Nonostante il nostro agito.
Una legge dell'esistenza
Il piano fisiologico espone bellamente una forma, etimologicamente la forma è un portato. Le informazioni dei piani invisibili "portate" sul piano visibile. Ma il portato plasma il visibile non per capriccio o per caso. Certo il caso gioca un ruolo importante, ma solo come variazione del portato, eventualmente accolta dal portato stesso come opportunità e/o necessità (Si legga in merito "Il caso e la necessità" di Jacques Monod). Ma cos'è questo portato? Uso questo termine comune per evitare di addentrarmi nei meandri delle tesi materialistiche, religiose, psicologiche ed esoteriche che da tempo arricchiscono l'immaginario dell'uomo: dal veicolo di Platone al corpo astrale della Teosofia, passando per il DNA, l'etere, l'anima e lo spirito. Una affascinante carrellata di teorie, spesso interessanti e non prive di logica, ma tutte caratterizzate da un impianto teorico esclusivo e, quindi, in qualche modo arroganti. In ogni caso nessuna delle teorie interessa o giustifica questa indagine, quindi ne faremo a meno.
Il portato è l'insieme di informazioni necessarie all'esistenza sul piano fisiologico, ovvero tutto ciò che consente il sostanziarsi di una forma. L'esistenza è una energia immersa in uno spazio e nel tempo e, per esistere, ha bisogno delle sue leggi. Una prima legge riscontrabile consiste di continuità nella trasformazione. L'esistenza per esplicare se stessa necessita di continuità. Il portato deve contenere le informazioni necessarie a esplicare tale continuità. La continuità è data dalla capacità di quella forma di non disgregarsi, pur trasformandosi. Tale capacità, che potremmo definire come forza vitale, si estrinseca sia nell'individuo, sotto forma di autoconservazione, sia nel collettivo, sotto forma di continuazione della specie. Capacità di coesione e di aggregazione sono riscontrabili anche nel mondo inorganico, sempre grazie al portato di informazioni dai piani invisibili. La differenza tra organico e inorganico risiede nel fatto che attribuiamo al mondo organico una causalità volontaria nel dirigere le trasformazioni, cosa che chiamiamo vita, mentre riteniamo che il mondo inorganico subisca le trasformazioni in base alla casualità. Lasciamo comunque l'inorganico da parte per evitare ulteriori digressioni.
Il piacere come strumento di continuità dell'esistenza
Piante millenarie e animali centenari non bastano a garantire la continuità nella trasformazione. Ciascun individuo, pianta o animale, esposto all'entropia dello spazio e del tempo, ha un ciclo vitale, la sua esistenza ha un inizio e una fine. Ma il portato contiene le informazioni necessarie affinché questa fine sia limitata all'individuo e la trasformazione possa continuare. Il singolo è programmato per generare nuovi inizi per nuovi individui: la procreazione. Sempre per caso e per necessità, l'esistenza ha preferito la riproduzione sessuata alla partenogenesi, riducendo quest'ultima a pochi casi. Ma in che modo il portato ha potuto trasmettere questa informazione affinché fosse attuata? Cosa può indurre una mantide o un ragno a rischiare la propria esistenza per procreare o un salmone a sfinirsi fino a morire per dare vita a una nuova generazione? Da tempo si parla di orologio biologico, ovvero un momento in cui energie invisibili, come gli ormoni, prendono il sopravvento e inducono l'individuo a comportamenti procreativi anche se rischiosi. Ok, ma manca il come. Come può un individuo farsi sopraffare da elementi chimico/biologici e adottare comportamenti potenzialmente autodistruttivi? La risposta a mio avviso risiede nelle forze attive su un altro piano, questa volta intangibile: il piano emozionale, piano che vedremo in seguito. Ora, premesso che mi piace credere che anche le piante provino emozioni e che molti studi lo attestano, proseguiremo l'indagine limitandoci al regno animale. Senza addentrarmi negli impianti teorici riguardanti le emozioni primarie, secondarie, fondamentali ecc., mi basta soffermarmi sull'emozione del piacere. Ovviamente il piacere non lo troverete facilmente nelle classificazioni delle emozioni. Eppure io credo che alcune strutture, sul piano fisiologico, siano preposte, mediante la ricerca del piacere, proprio a ricercare una spinta all'accrescimento della forza vitale. La moralizzazione del piacere, fonte di grandi mali per il genere umano, è un argomento che tratteremo successivamente ai piani dell'esistenza. In questa sede ci basti seguire l'ipotesi che la vita brama la sua continuità, individuale e collettiva, e usa il piacere per conservarsi, trasformandosi... un po' come se la vita avesse una sua propria coscienza.
Piano fisiologico: il piano visibile
del resto, come il ciel di me dispose,
ebbi sete, ebbi sonno, ebbi appetito.
Giuseppe Gioacchino Belli
Il sistema di sistemi
Dalla più piccola cellula del corpo al più grande degli organi, tutto comunica con tutto. Ogni singolo elemento si relaziona a diversi altri per svolgere diverse funzioni. Ogni funzione ha molteplici cause e crea molteplici conseguenze. Quando singoli elementi, o parti di essi, attivano specifiche funzioni, secondo leggi che tendono a una finalità, possiamo parlare di un sistema. Diversi sistemi collaborano, creando un sistema di sistemi che ci consente di esistere. I sistemi possono essere riconducibili in modo più o meno evidente agli elementi coinvolti nelle funzioni. Avremo così un cosiddetto sistema immunitario, definito più dalle funzioni svolte che dagli elementi coinvolti. Così come invece, se parliamo di sistema cardiovascolare, riusciamo subito a individuare gli elementi cuore, arterie e vene. È proprio quest'ultimo sistema a farci immaginare come si compone fisicamente un sistema e quanto capillare sia la rete che supporta il trasporto di informazioni ed elementi necessari alla vita. Le macchine atomiche di G. Salerno, in mostra alla Cappella San Severo a Napoli, mostrano come siamo fatti, più delle mummie egizie, più dei disegni di Leonardo e forse più della plastinazione di von Hagens. Osservando le macchine anatomiche, vediamo un groviglio quasi compatto di fili che avvolgono e attraversano lo scheletro. Apprendendo che quei fili sono i tubi del sistema venoso/arterioso, possiamo immaginare quanto più fitto e compatto diverrebbe quel groviglio se potessimo aggiungervi il sistema nervoso, il sistema linfatico, il sistema fasciale, il sistema digerente, per non parlare dei meridiani della medicina tradizionale cinese e delle nadi... siamo fatti di tubi. Tubi corti, lunghi, larghi, stretti, rigidi, elastici. Tubi che portano sostanze, cariche elettriche, informazioni. La nostra stessa pelle, tutto sommato, è un tubo elastico che si adatta elasticamente a contenere, ma non solo, i sistemi sottostanti.
Funzione, struttura, forma
Accettato che un sistema è tale quando svolge una o più funzioni, dobbiamo constatare che nello svolgimento di quelle funzioni il sistema si struttura per ottimizzare il risultato. La struttura è quindi la disposizione degli elementi fisiologici e dei meccanismi biologici coinvolti nel sistema. Non intendo struttura come costruzione di un artefatto, ovvero qualcosa di fabbricato dalle mani umane per uno scopo. La struttura di un artefatto è fissata e subisce variazioni solo per usura o rottura. La struttura organica, invece, varia al variare delle funzioni per nutrizione, addestramento, allenamento, invecchiamento, adattamento e altre variazioni che spesso definiamo malattie. Le strutture vengono poi da noi riconosciute come forme. La forma, ancora una volta, è il risultato di informazioni "portate" alla visibilità. Schematizzando, possiamo dire che la funzione determina la struttura e questa a sua volta determina la forma. Non altrettanto immediata è la comprensione che, proseguendo all'inverso, la forma influenza la struttura e questa influenza la funzione. Quando assistiamo a interventi che intendono cambiare la forma, prescindendo dalla struttura e dalle funzioni, possiamo essere certi che tali interventi, in un tempo X, saranno stati come fare buchi nell'acqua. Le funzioni non cambiate si espliciteranno in strutture analoghe alle precedenti, che daranno luogo a forme del tutto simili a quelle sulle quali siamo intervenuti. Ginnastiche, diete, interventi chirurgici, non progettati per modificare le funzioni, sono destinati al fallimento.
Cosa intendo per funzione
Come abbiamo detto in precedenza, una legge dell'esistenza è quella di perpetrare sé stessa nel cambiamento. A tal fine ogni azione utile viene integrata nei processi esistenziali. Le azioni non utili vengono scartate, o meglio non vengono reiterate. Questo accade su tutti i piani dell'esistenza. Le azioni compiute dagli organismi viventi hanno specifiche funzioni, altrimenti non sarebbero state compiute. Quando un albero sviluppa le proprie radici in un determinato modo per nutrirsi di acqua, lo fa in quel modo in funzione del tipo di terreno e del tipo di tronco che svilupperà. Nel mondo animale l'attività del gioco è funzionale allo sviluppo dell'apparato muscolo-scheletrico, all'apprendimento delle tecniche di sopravvivenza, al consolidamento dei legami sociali e in cattività a simulare le precedenti. Per quanto riguarda noi umani, capaci di astrazione e in possesso di facoltà mentali più ampie, il discorso si fa leggermente più complesso, ma ai fini di questa indagine resta pressoché invariato: la struttura sarà adeguata alla funzione, sebbene nel nostro caso possiamo esser certi che la funzione può avere origini, non solo genetiche e familiari e emozionali, ma anche psicologiche, psichiatriche o spirituali.
Cosa intendo per struttura
Stabilito, come scritto in precedenza, che la struttura non è un artefatto, occorre specificare che per struttura intendo qualcosa di plastico e dinamico, qualcosa che risponde alle sollecitazioni delle funzioni da svolgere. Prendiamo per esempio la scoliosi. Quando un medico diagnostica una scoliosi al paziente arriva, nella maggior parte dei casi, qualcosa tipo "ho la colonna storta". Questo tipo di pensiero, che si forma nella mente del paziente e/o dei suoi cari, è fortemente deleterio, per due ordini di motivi. Il primo è di ordine semantico e conseguentemente psicologico. Se pensiamo di avere una malattia finiremo con il possederla. Una malattia non si possiede, semmai se ne soffre. Ma di questo ci occuperemo più largamente in seguito. Il secondo è di ordine logico e conseguentemente terapeutico. La colonna vertebrale non è un osso, con determinate caratteristiche geneticamente determinate, ma un insieme strutturato di elementi che svolgono una funzione. Le curve di una colonna non sono determinate alla nascita, ma sono generate dalle funzioni motorie, e non solo, ma anche di questo parleremo in seguito. Se non cambiano le funzioni motorie non cambieranno le curve, nonostante busti, gessi, trazioni e operazioni chirurgiche. Le funzioni motorie a loro volta sono state influenzate da fattori genetici, quali ad esempio alcune caratteristiche del tessuto connettivo, e da fattori ambientali, dall'educazione alle relazioni, fino poi ai contesti scolastici e lavorativi. Inevitabilmente, però, se riusciamo a modificare le funzioni motorie, modificheremo la struttura e una curva potrà crescere o decrescere, in barba alla definizione vigente di scoliosi come malattia idiopatica e degenerativa.
Cosa intendo per forma
Usiamo comunemente questo termine per entrare nel mondo della geometria, per definire la spazialità delle cose. Invece, come accennato al paragrafo precedente, con forma intendo il portato, ovvero tutte le proprietà che posso percepire mediante i sensi tutti, non solo quelli spaziali. L’oggettività di una forma è relativa al soggetto che la percepisce. Vi sono quindi forme che sono definibili come oggettivamente tali in virtù che tutti, o quasi tutti, le percepiamo nello stesso modo. Vi sono altresì forme che non tendiamo a definire oggettive, in quanto vengono percepite in modo diverso da diversi soggetti. Grasso e magro, alto e basso, puzzolente e profumato sono definizioni qualificative, di matrice prevalentemente culturale, profondamente relative; il colore della pelle e degli occhi, al contrario, sono definizioni qualificative, di matrice prevalentemente sensoriale, più o meno oggettive. Il modo in cui percepiamo una forma determina la formazione di un giudizio individuale, nei confronti di sé stessi e dell'altro da sé, e sociale, nei confronti di gruppi omogenei che manifestano una determinata forma. Il modo in cui giudichiamo la nostra forma determina in parte la nostra posizione sociale, andando a influenzare i nostri comportamenti affinché la nostra immagine di sé possa essere socialmente riconosciuta. La forma espressa da un individuo e i comportamenti che questi adotta per apparire come desidera, dalla postura alle modalità comunicative, dai vestiti indossati al taglio di capelli, rappresentano la prima porta di accesso alla lettura dell'individuo che si ha davanti. Per la lettura di sé stessi è necessario tralasciare la propria immagine di sé e osservare il comportamento degli altri, che ci restituisce un'altra immagine di noi stessi: quella che viene percepita.
L’importanza della forma
Sebbene questa altro non sia che un portato della struttura, ovvero una manifestazione di eventi alla cui generazione abbiamo contribuito ben poco coscientemente, la forma costituisce l’ambito del piano fisiologico che maggiormente influenza la nostra vita. Nascere con caratteristiche fisiche adeguate al contesto culturale vigente è un fattore che favorisce il posizionamento sociale, e questo è un fattore ambientale che influenza la formazione del carattere. Nascere deformi o difformi o diversamente formati, nel corso della storia occidentale, ha significato discriminazione, persecuzione, esecuzione. La forma è l’altare principale innanzi al quale si formano le nostre identità. Ignari dei piani invisibili che sostengono le nostre fragili identità, percorriamo questa vita “come il ciel di me dispose”.
Il secondo confine
Il confine è il luogo migliore per acquisire conoscenza.
Paul Tillich
Benzina: puzza o profumo?
Ho provato più volte a fare questa domanda e, tranne in rari casi, la risposta è sempre stata che la benzina puzza. Eppure, è stato un profumo per me per tanti anni. Il motivo per cui un odore acre, dominante e decisamente non naturale fosse stato a me così gradito non risiedeva nel piano fisiologico dei sensi. Intendiamoci l'olfatto era ovviamente coinvolto, ma la mia mente traduceva quelle molecole di gas in qualcosa di emozionante. Questa sensazione mi portava ad annusare a pieni polmoni la benzina ogni qual volta mi si presentasse l'occasione. La sensazione derivava dalla memoria. La memoria di emozioni provate quando il rumore di marmitte preparate e la puzza di miscela inondavano i nostri sensi di adolescenti seduti sul muretto di fronte al bar. Quell'odore era sinonimo di motorino (ancora non esisteva lo scooter), quindi di evasione e libertà. Non essendo io in possesso di un motorino, il desiderio era ancora più grande, come se le mete raggiungibili con quelle due ruote fossero luoghi magici, dove gli amici sparivano per far ritorno più allegri di quando erano partiti. Le emozioni vissute in quelle estati si erano radicate nella mia memoria olfattiva e, a distanza di anni, quell'odore continuava a piacermi. Una parte intangibile di me influenzava il mio comportamento. Dalla comprensione di questa chiave di lettura trassi tre considerazioni:
1) un profumo, come ogni altro giudizio sui dati sensoriali, non rappresentano il sé profondo, non sono innati, ma sono il frutto di esperienze vissute;
2) esistono attività del cervello che, pur essendo intangibili, influenzano il comportamento e quindi il modo in cui viviamo le nuove esperienze;
3) la nostra visione del mondo è bloccata nell'impianto teorico da noi stessi costruito per giustificare il nostro comportamento.
Insomma, Proust l'aveva vista lunga con le sue madeleine e la Tupini ha pienamente ragione a parlare di mente condizionata.
Cosa intendo per piani intangibili
Se la nostra identità nasce dal portato dei piani invisibili, si sviluppa grazie all'apporto dei piani intangibili. I piani dell'esistenza intangibili sono quello emozionale, psicologico, cognitivo e animistico. Mentre i piani invisibili hanno consentito l'esistenza, quelli intangibili ne determinano la qualità, mediante i comportamenti che adottiamo. I nostri comportamenti sono quasi sempre coazioni, ovvero azioni determinate da impulsi o abitudini di cui in realtà non siamo coscientemente autori. Emozioni fissate nella nostra memoria, strategie di sopravvivenza adottate nel passato e valori culturali imposti da falsi educatori ci guidano, a nostra insaputa, a questo o a quel comportamento. I piani intangibili assomigliano alle sapienti mani di un burattinaio che muovono i fili di un burattino, che si crede libero e senza fili.
Che fare e da che cosa cominciare?
A parte la citazione dei titoli di un libro e di un articolo di Lenin, questo paragrafo ha in comune con queste citazioni solo lo stato d'animo. Lo stesso che spinse Cartesio a scrivere il "Discorso sul metodo", ovvero: una volta stabilita la condizione delle cose, come faccio a cambiare?
La prima cosa in assoluto da fare è dubitare seriamente di ciò che si pensa, di ciò che si ritiene inconfutabile e oggettivo. Un aiuto mi fu dato dalla speculazione di un Maestro riportatami da una sua allieva: la mente è una secrezione del cervello, né più né meno di quanto la bile lo sia del fegato. Questo concetto mi apparve subito interessante. Oggi mi sembra più che mai chiaro e veritiero. Non fidarsi di ciò che si pensa, soprattutto quando ci sembra assolutamente giusto.
La seconda cosa deriva immediatamente dalla precedente e consiste nel vagliare accuratamente il proprio pensiero. Da dove traggo la certezza di quel determinato pensiero, a chi o a cosa giova l'averlo formulato e ritenuto valido.
La terza cosa è chiedersi se ci riconosciamo veramente in quel pensiero, ovvero se quel pensiero ci definisce, se ce ne sentiamo rappresentati senza vergogna e senza orgoglio.
Già queste prime tre regole rendono la vita sicuramente più difficile, ma enormemente più interessante.
Fare questo lavoro è un po' come uscire con circospezione dalla propria zona di comfort; nel farlo con assiduità ci si paleseranno gli strumenti necessari, ma soprattutto adeguati a ciascuno, per andare oltre. Per dirla con Tillich: la conoscenza è oltre il confine.
Una ultima riflessione
Se sei felice così come sei, se sei biondo e non vuoi essere bruno, se sei magro e non vuoi essere grasso, se sei femmina e non vuoi essere maschio, se sei pigro e non vuoi essere iperattivo, e viceversa e via dicendo, allora puoi goderti la meraviglia del piano fisiologico, accettando i piani invisibili e facendo esperienza di quelli intangibili. Se invece sei spesso infelice o comunque inquieto, cerca uno strumento di crescita, oltre i confini che delimitano il tuo orizzonte. Esplora i sistemi di movimento, le terapie verbali, il mondo delle arti, le nuove e le vecchie ideologie, evita gli integralismi, i maestri che si definiscono tali, le discipline che si ritengono le migliori... esplora i confini e il cambiamento si presenterà, sotto forma dello strumento adatto a te.
Piano emozionale
Fu un tocco fugace che svanì
in un momento, come il petalo di un fiore reciso
trasportato nell’aria.
Rabindranath Tagore
Il primo dei piani intangibili
Questo è il piano essenziale per lo svolgimento dei principi di continuità e trasformazione dell'esistenza. Si tratta inoltre del piano fondamentale per la costituzione dei successivi piani intangibili. Rammento sempre che la suddivisione in piani non è una affermazione di separazione, ma un espediente per comprendere. I piani intangibili, come quelli invisibili, sono così strettamente interrelati che isolarli significherebbe inficiare qualsiasi speculazione e perdere il senso della realtà, a favore di una interpretazione settoriale e, pertanto, inconcludente.
A rendere così importante questo piano è che qui vengono stimolate le funzioni primarie della vita di un organismo. Mi spiego meglio. Abbiamo detto che i piani invisibili hanno consentito la costituzione e sorreggono il piano fisiologico. Per il sostentamento di questo piano però i piani invisibili non sono sufficienti, occorre energia per sostenere le trasformazioni e i processi atomici, chimici e biologici. Non solo, occorre energia per adattarsi all'ambiente, favorire le sinergie ed evitare le minacce. Le energie disponibili sono, in primo luogo, sostanze presenti nell'ambiente. Per l'assimilazione di queste sostanze, gli organismi si sono evoluti sfruttando diversissime tecniche che vanno dall'osmosi delle membrane di organismi unicellulari ai laboriosi processi digestivi di alcuni mammiferi. Per comprendere cosa c'entra l'emozione con queste funzioni occorre chiedersi: come vengono stimolate le funzioni vitali? La risposta è: con le emozioni. Ovviamente per seguire il ragionamento occorre svestire la parola emozione del bagaglio culturale che ha assunto e restituirle la sua più semplice e scarna definizione: dal latino emovère (ex = fuori + movere = muovere) ovvero suscitare, far emergere; l'emozione è la risposta di un organismo a uno stimolo, interno o esterno che sia. In questa ottica, priva di romanticismo e di umanocentrismo, è lo stimolo dei raggi solari, per fare un esempio, a suscitare la risposta di rotazione del girasole... il girasole prova emozioni e, aggiungerei, vive proprio grazie a esse.
Cosa intendo e non intendo per piano emozionale
Le ormai complesse analisi sulle emozioni, che vedono l'introduzione di nuovi termini quali la multicomponenzialità o l'emotigenia, per poi generare classificazioni tra emozioni primarie, secondarie etc., sono assolutamente aldilà di questa speculazione. Le neuroscienze da un lato e la psicologia dall’altro sono le discipline naturalmente preposte a indagare tutti questi meccanismi. In questa sede non mi occuperò, per motivi di pertinenza e di competenza, di classificare le emozioni né tantomeno di approfondire gli aspetti fisiologici e psicologici.
Ai fini di questa speculazione il piano emozionale rappresenta il piano in cui il singolo organismo fa esperienza della vita. Premesso che il collegamento tra lo stimolo e l’emozione può derivare da meccanismi geneticamente codificati o dalla esperienza di accadimenti, l’emozione, se negativa porterà ad azioni di evitamento, mediante fuga o attacco, se positiva l’organismo reagirà con azioni di ripetizione. In entrambi i casi l’organismo registrerà gli esiti dell’esperienza per i comportamenti futuri. Per quanto concerne l’uomo, questa registrazione, meglio sarebbe definirla esperienza, è l’aspetto che costituisce il tramite tra questo piano intangibile e il successivo, quello psicologico, e tra questo e quello cognitivo; ma questo lo vedremo più avanti. Tornando a un piano più generale, l’insegnamento ricevuto dall’esperienza sarà diverso in virtù delle caratteristiche dell’organismo che percepisce lo stimolo, della presenza o meno di un sistema nervoso centrale e dello sviluppo di quest’ultimo.
Emozioni e memoria
Nel corso dell’ultimo secolo la comunità scientifica ha delineato l’evoluzione delle manifestazioni emotive, il ruolo del sistema limbico e ha postulato, quasi unanimemente, che possediamo una memoria emotiva, contenuta nella amigdala e una memoria dichiarativa, gestita da ippocampo e corteccia. Comunemente con il termine memoria intendiamo quel contenitore di esperienze che ci portiamo dentro nel nostro procedere nella vita. Abituati a considerare il mondo e i suoi fenomeni attraverso una lente dualistica, atta a dividere gli opposti, bianco-nero, vero-falso etc., siamo portati a considerare i nostri ricordi come qualcosa di certo e di affidabile. Consideriamo vero un evento per il semplice fatto che lo ricordiamo. Niente di più falso. Per dirla con A. Rossi: “I ricordi emotivi e quelli dichiarativi vengono immagazzinati e recuperati parallelamente e le loro attività vengono riunite nelle nostre attività mentali coscienti. In questo processo la memoria emotiva si combina quindi con la memoria dichiarativa e insieme producono una nuova memoria dichiarativa. I ricordi, a quanto pare, ce li reinventiamo secondo l'uso (inconscio?) che ne vogliamo fare sulla base delle circostanze, dei rapporti con gli altri e con l'ambiente (Freud 1948; Loftus 1997)”.
La memoria è dunque un processo, non una banca dati. L’emozione stessa, a mio avviso, è un processo e in quanto tale non può essere rivissuta tal quale lo è stata, almeno non in uno stato di coscienza ordinario. Ogni volta sarà un processo diverso, perché diverso è il soggetto, diverso l’ambiente, diverso il tempo. Eppure, ogni emozione ha una impronta, un sapore, un odore, un colore tutti suoi, che la caratterizzano inequivocabilmente, come un sogno, fuori dal tempo. “Il sapore della madeleine nell'attimo presente e al tempo stesso in un istante lontano, al punto di far sconfinare il passato sul presente, di esitare non sapendo in quale dei due mi trovassi; a dire il vero, l'essere che allora assaporava in me quell'impressione, la assaporava in ciò che essa aveva di comune in un giorno remoto e nel presente, in ciò che aveva di extratemporale, un essere che appariva solo quando, per una di quelle identità tra il presente e il passato, poteva trovarsi nell'unico ambiente in cui potesse vivere, gioire dell'essenza delle cose, vale a dire al di fuori del tempo.” (Il tempo ritrovato, Marcel Proust, 1927).
Piano emozionale e identità
Dunque, l’emozione nasce come risposta di qualsiasi organismo a uno stimolo. Senza perdere questa funzione, l’emozione diventa nell’uomo un processo più complesso, che interagisce con gli altri piani dell’esistenza in un nuovo e più articolato processo che va a costituire l’identità. Le nostre scelte di gusto, mi piace-non mi piace-mi è indifferente, costituiscono gran parte dei parametri che utilizziamo per riconoscerci ed essere riconosciuti. L’influenza del piano emozionale sulla nostra crescita identitaria è di grande rilievo, non solo perché è su quel piano che abbiamo provato la positività o la negatività dello stimolo, ma anche perché successivamente abbiamo confermato quel giudizio ergendolo a elemento identitario. Il mio professore di Storia delle religioni A. Di Nola mi disse, vado a memoria (quindi prendetelo con le pinze) che noialtri, eterosessuali e omosessuali, sceglievamo prima il sesso e poi dovevamo adeguarci alla persona e che un percorso maturo poteva essere meglio rappresentato dallo scegliere prima la persona e poi adeguarsi al sesso. In una utopica società, non patriarcale/matrilineare, il sesso potresti farlo, o non farlo, con chi ti pare, mentre il compagno o i compagni di vita te li scegli per affinità, condivisione di progetti e ovviamente per motivi karmici. Ma poiché io sono nato maschio e ho fatto esperienza in un contesto culturale non utopico, mi concedo di emozionarmi, pensando al godimento, verso fattezze femminili e di emozionarmi, pensando al disgusto, verso fattezze maschili. I piani intangibili hanno deciso per me e hanno fatto sì che io fossi o mi credessi cisessuale.
Emozione: energia per lo Psicosoma
Era inverno, era sera e scesi in strada per portare Bracco a fare la passeggiata serale e i suoi bisogni escretori. Indossavo una giacca pesante, avvolto da una sciarpa e col capo dentro un cappello. Mi colpì vedere un gruppetto di persone senza giacca, in tiro, come se il freddo fosse solo una mia condizione. Vedendo che erano più giovani di me, liquidai la situazione in modo semplicistico: mi ero fatto vecchio. Ahi ahi… la mente aveva fornito la risposta più semplice e immediata, la mente mentiva. La differenza tra me e loro non era l’età, o meglio non solo quella. Loro stavano per uscire, erano eccitati dalla prospettiva di realizzare un loro progetto per la serata. Non potevano sentire freddo. I loro corpi erano pieni di ormoni e neurotrasmettitori preposti all’azione, al divertimento, all’appagamento di desideri. Il mio corpo, invece, cercava le energie necessarie alla digestione, mentre il dovere mi aveva strappato alla mia routine serale. Le nostre condizioni erano diverse perché diverse erano le forze che agivano sul piano emozionale. Le emozioni costituiscono la forza che muove le nostre azioni. Una significativa metafora, creata (immagino) e usata (la trovate nel suo libro “Vedute sul mondo reale”) da Gurdjieff, illustra, in modo sintetico e un po’ riduttivo, ma decisamente chiaro e semplice, le diversi componenti di un uomo. Gurdjieff paragona quest’ultimo a un insieme composto da una carrozza, dei cavalli, un conducente e un passeggero. La carrozza rappresenta il corpo fisico, i cavalli rappresentano le emozioni, il conducente la mente e il passeggero l’anima o il sé profondo. Ciò che regolarmente avviene è che lasciamo la carrozza a sé stessa abbandonata, occupandocene solo quando ci fa soffrire per un dolore, spesso scegliendo semplicemente di zittire il dolore; oppure quando qualcuno ci dice che siamo ammalati, ricorriamo alla medicina e ai santi disponibili per paura della morte. Per il resto la carrozza resta qualcosa di estraneo, da cui esigiamo prestazioni senza prendercene cura. Il conducente è colto, nella migliore delle ipotesi, nell’arte di condurre la carrozza, peccato che non sappia dove andare. Compito questo che spetterebbe al passeggero, non quello che a turnazione sale in carrozza, ma al padrone della carrozza, l’anima che abita questa realtà, l’unico che potrebbe svegliarci dal sonno profondo in cui siamo immersi. Veniamo ai cavalli. I cavalli hanno la capacità di tirare la carrozza, di farla spostare. Ma i cavalli vanno addestrati e curati, altrimenti non ascoltano il conducente o non ce la fanno a tirare. Lasciare i cavalli senza briglie è come fare la pipì controvento o sputare in aria o, peggio ancora, lasciare che un bambino piloti un aeroplano. Un disastro ci attende con ogni probabilità.
Emozioni e sentimenti
Il sentimento è il processo del "sentire" i dati sensoriali, ovvero l'elaborazione, mediante un processo cognitivo, delle emozioni. L'emozione è un processo altamente volatile, riguarda l'attivazione delle risposte dello Psicosoma agli stimoli. Il sentimento è un processo più lento e subentra in un tempo successivo alle emozioni. La mente elabora l'emozione e fissa nella memoria i parametri del vissuto emozionale, andando a comporre il terreno dal quale emergeranno i sentimenti. Un decennio prima che io nascessi Salinger scriveva nei "nove racconti": “La più spiccata differenza tra la felicità e la gioia è che la felicità è un solido e la gioia è un liquido.” Parafrasando Salinger potremmo dire che le emozioni sono liquide mentre i sentimenti sono solidi. La differenza non è solo sulla persistenza dei due processi, fluido e breve l'emozione, distinto e durevole il sentimento. La differenza è che uno ha una provenienza fisiologica, l'altro psicologoca e cognitiva; uno crea piacere o dispiacere, l'altro affetto o disaffezione; uno sostiene l'innamoramento, l'altro l'amore; uno è dionisiaco, l'altro apollineo.
La parola liquidità ha raggiunto con Bauman un pubblico vasto perché ben rappresenta la condizione identitaria della nostra epoca. La metafora, usata da Bauman per definire “modernità liquida” quella che altri hanno definito postmodernità, è di immediata comprensione se pensiamo che liquido è quello stato della materia che non ha forma propria, che prende la forma del vuoto lasciato dal solido, come nel caso del tè nella tazza o dell’identità nel mondo-mercato. La progressiva scomparsa della solidità dei sentimenti ha creato lo spazio per il dilagare pervasivo della ricerca di emozioni. Ma poiché, per sua natura, l’emozione è, parafrasando Tagore, un tocco fugace che svanisce, la gratificazione che ne risulta ha vita breve. La ricerca continua di nuove emozioni diventa più importante delle emozioni stesse.
Piano psicologico
Il metodo psicologico è molto più difficile e, in più, è spesso molto deludente perché seguendo il metodo psicologico un uomo spesso si rende conto di non capire nulla e che non sa cosa fare.
P. D. Uspenskij
La storia
La storia della psicologia la puoi leggere su Wikipedia o meglio sui libri. In questa sede non abbiamo pretese o finalità storiche o scientifiche. La storia di cui parlerò è la storia di Oreste. Un piccolo uomo qualunque per tanti, un frammento meraviglioso dell’Universo per altri. Oreste si accorse un giorno che il mondo caldo e accudente delle sue prime percezioni era finito. Niente più nutrienti gratis né protezione: era nato. La sua prima esistenza invisibile (sarebbe carino chiamarla isistenza dal latino intus + sistere, cioè “stare dentro”) aveva ceduto il passo alla sua seconda esistenza, quella visibile. Un terribile mondo lo accolse dopo uno stretto passaggio. Aria che bruciava pelle e polmoni e una sfilza di man-trattamenti. I sensi tutti, abituati alla mediazione del brodo prenatale, furono investiti da percezioni violente e senza tregua. Oreste urlò e pianse e si dimenò. Nulla. La condizione non aveva inversione. Solo un succo caldo, un soffice seno e un odore familiare, qualcosa di simile al brodo prenatale, parvero sedare i suoi tormenti. Finalmente un po’ di quiete. Durò poco. Man-trattamenti senza fine ruppero l’idillio. E quando, rassegnato a quella nuova strana e scomoda condizione, cedette al riposo, il cavolo, nascosto nel suo bel succo bianco, prese a tormentargli la pancia. Riprese allora a dimenarsi e poi a piangere e poi a urlare, e in cambio? Altri man-trattamenti. Il cambiamento fu così radicale, le cose da apprendere così tante, che Oreste dimenticò l’isistenza e perse ogni contatto con il suo Essere. Con un atto di pura sopravvivenza, mise da parte le conoscenze innate di Platone e si fece aristotelica tabula rasa. Apprese le inadeguatezze dei genitori e degli adulti in genere, le loro abitudini, il loro potere. Apprese a compiacerli e a temerli. Apprese che c’erano ruoli per ogni contesto e che ogni ruolo richiedeva un copione, spesso non dettagliato, spesso improvvisato, ma sempre all’interno del ruolo, unico confine previsto e accettato, volente o nolente. Ruolo di madre e di padre, ruolo di moglie e di marito, ruolo di sorella e di fratello, di più piccolo e di più grande, ruolo di nonni, di cugini e di zii… Oreste impiegò le sue risorse a ricoprire o a eludere al meglio il ruolo assegnatogli. Il frutto di questo ingegno fu la costituzione di strategie di sopravvivenza.
Strategie di sopravvivenza
Oreste non poteva sapere che quelle soluzioni, trovate ai giochi di ruolo, sarebbero diventate alcune tra le più solide linee guida per i suoi futuri comportamenti. Sviluppate in contesti coerenti con le risorse a disposizione in quella età, alcune di quelle strategie sarebbero diventate in seguito trappole comportamentali. Ciò che gli era stato utile da infante sarebbe stato inutile da adulto, ma la coazione a ripetere ciò che era stato utile lo avrebbe condannato a reiterare le strategie ormai inutili e spesso dannose. Altre strategie non venivano apprese per esperienza diretta di causa-effetto, ma per imitazione degli adulti. Ecco che Oreste aveva gettato le basi per le sue future dipendenze. Dipendenze dall'altro, dal potere, da rituali, da droghe, da alcol, da gioco... Da adulto, quell'aria calda che aspirava attraverso labbra in posizione di suzione (il fumare), tanto lo rassicurava come la suzione di un latte materno che decise di fumare. Se a questo aggiungete che il gesto era stato agito migliaia di volte dall'allora dio-padre, novello Humphrey Bogart, capirete che, per Oreste, la dipendenza da fumo era un surrogato del nutrimento materno e del potere paterno: un mix perfetto per non sentirsi solo e fragile. Potrei raccontare altre strategie che Oreste adottò, ma lascio che il vostro Oreste le racconti direttamente a voi stessi. Qualcuno obietterà che le strategie di sopravvivenza sono necessarie in natura per assicurarsi un futuro e, quindi, che sono insite nei processi esistenziali di tutti gli organismi. È vero. Ma nell'uomo il processo perdura. Per una serie di motivi, che non voglio affrontare in questa sede, gli stati di attivazione organica, come attacco-fuga, non cessano anche quando non sono più necessari. L'intero organismo di un cervo si attiva per sfuggire al carnivoro di turno, ma, quando è sfuggito, riprende a mangiare e a socializzare. Il suo stress per la minaccia alla sopravvivenza dura il tempo necessario a superare la circostanza. Poi cessa. Questa dinamica si presenta con differenti modalità tra gli animali e non è affatto estranea alle piante.
In un lavoro pubblicato nel 2014, Monica Gagliano e altri tre ricercatori dimostrano la presenza di qualcosa di simile alla memoria e all'apprendimento nel comportamento della mimosa pudica. L'esperimento dimostra che la mimosa pudica, nota anche come mimosa sensitiva per la sua capacità di richiudere le foglie se sottoposta a stress, poteva reagire diversamente allo stesso stimolo dopo aver "appreso" che quello stimolo non era pericoloso. La pianta era in grado di dismettere la propria strategia di sopravvivenza, una volta appurata la sua inutilità. Quanto sia strano che Oreste, membro della specie autodefinitasi come la più evoluta, non avesse la capacità di dismettere le proprie strategie inutili è ancora un mistero per me. A meno che non consideriamo, come nel precedente articolo "Piano energetico" al paragrafo "Prendiamo le distanze", che la nostra capacità di astrazione ci abbia proiettati "in un mondo fatto non più solo di passato (esperienze) e di presente (opportunità), ma anche di futuro (incertezza). La consapevolezza del futuro generò l'incertezza del domani, l'angoscia della morte." I genitori e gli adulti di Oreste ci devono aver trasmesso la versione più letale di una delle emozioni: la paura. Non è, infatti, la paura in sé a produrre la nostra incapacità a dismettere le strategie di sopravvivenza inutili, ma la sua versione pulsante e permanente: l'angoscia. Quella paura, non sempre identificabile, di qualcosa di terribile che potrebbe accadere. Angoscia di morte come terrore del futuro, rinnovata da quel senso di incertezza che quotidianamente la nostra cultura ci impone. Le strategie di sopravvivenza accumulate nei primi anni di vita di Oreste si sono stratificate e sono andate a comporre uno degli strati che costituiscono il piano psicologico. Lo strato in cui governa indiscusso uno dei due gemelli di Nyx, la dea greca della notte: Tànato. L’altro gemello, Ipno, si occupa del sonno notturno, mentre Tànato si occupa di quello eterno per questa esistenza… i greci la sapevano lunga, non lunghissima, ma la raccontavano decisamente bene.
Che fine hanno fatto l'isistenza e l'Essere?
Facciamo prima un distinguo. L’isistenza appartiene, sebbene in via mediata dal corpo della madre, ai piani dell’esistenza; l’Essere è una forma di energia che non è entrata nello spazio e nel tempo, se non per mezzo dell’anima (ma questa è un’altra storia), e che quindi non appartiene ai piani dell’esistenza. Diamo per vero, però, che entrambe le condizioni consentano l’apprendimento esperienziale, quindi la conservazione di memorie. Nel mettere da parte le memorie di questi due piani, Oreste non avrebbe potuto cancellarle. Tali memorie risiedono in parti della mente così remote che l’accesso cognitivo è praticamente precluso. Sono informazioni che hanno perso il legame sintattico, sono verità analogiche, non ordinabili, associative, senza consecutio temporale e consistenza spaziale. Vi accediamo attraverso i sogni principalmente, ma anche mediante l’arte, la meditazione, l'uso di droghe e altre esperienze in cui si ampliano i confini della coscienza. Queste memorie contengono informazioni non già solo di un singolo Oreste, ma anche di tutti gli altri Oreste, sia in senso verticale, ovvero memorie di vite precedenti, sia in senso orizzontale, ovvero memorie delle vite di altri Oreste: qualcosa di definibile come inconscio collettivo. È in questo oceano di memorie che tutti gli Oreste del mondo, tutti quelli di ieri, di oggi e di domani troveranno tutta la loro appartenenza a ogni bene e ogni male che gli uomini hanno agito. Oreste santo, Oreste assassino, Oreste padre e Oreste pedofilo, folle e visionario… Oreste di ogni scelta morale possibile è già dentro l’attuale Oreste esistente, nessuno escluso. Questo celano i pantheon degli dei, quello greco come quello indiano, come quello egizio o azteco: l’opportunità di attivare questa o quella divinità per ordinare e normare quell’oceano. Tutto per evitare che quell’oceano potesse sgorgare come uno tsunami nel mondo della fragile coscienza di Oreste, generando un ingestibile caos. Non solo, anche per giustificare agiti altrimenti socialmente e moralmente riprovevoli, come delitti, soprusi ecc. Come archetipi, le divinità sono servite a rendere moralmente accettabili le incredibili possibilità di agire di cui Oreste è capace, nel bene e nel male. Un esempio per tutti si trova nell'Iliade. I protagonisti della guerra narrata da Omero, in cui le cause economiche venivano travestite da cause di onore e giustizia, necessitavano di continui interventi di questa o quella divinità per giustificare l'ingiustificabile. Alcune divinità di questi pantheon si occupavano di un altro aspetto dell'inconscio collettivo: quello della veggenza. Lo studio dei cicli lunari e solari, l'osservazione delle stelle e di altri fenomeni ambientali costituivano il contesto in cui taluni esseri umani, in genere appartenenti a sacerdozi o caste sciamaniche, accedevano a informazioni precluse agli altri essere umani. In questo modo veniva normato il mondo della magia o comunque dell'inesplicabile, fornendo alle società un tessuto morale e la possibilità di costituire leggi di convivenza. Del mondo abramitico, monoteista, patriarcale e matrilineare ne parleremo in altra sede. In questa di sede, ci basti annotare che, nell'universo-pensiero del mondo abramitico, l'accesso alle informazioni dell'inconscio collettivo è andato via via scemando, prendendo forme socialmente marginali, se non eversive. Si pensi alle streghe, ai santi, ai folli.
La sostenibilità dell'esistenza
Come Ulisse fu costretto a capire che non bastavano i venti per tornare a Itaca, così Oreste deve accettare che le facoltà coscienti sono spesso insufficienti e inadeguate a sostenere l'esistenza. Forze intangibili operano continue variazioni nei processi cognitivi, così come correnti di acqua fredda e calda, invisibili al navigante, mutano le condizioni di superfice del mare. Come Ulisse, anche Oreste può fare valutazioni solo su ciò che vede. Ecco allora che "vedere" di più della semplice superfice diventa necessario, come studiare la mappe nautiche, le coste e i popoli, conoscere la ciclicità degli anticicloni, notare le differenze delle maree. Questo il compito di Ulisse. Anche Oreste, dal canto suo, nel navigare l'esistenza, ha bisogno di "vedere" oltre la superfice. Diverse terapie verbali, discipline meditative, letture scientifiche ed esoteriche potranno aiutare Oreste a navigare meglio. E come scrisse Manuel Alegre a proposito di Ulisse, vale anche per Oreste:
«Itaca era dentro: una luce un volto un odore
l’ombra in certi pomeriggi nella sala da pranzo
o il tuo sorriso sotto il susino.
Un luogo… Un luogo di dentro. Un oscuro punto
nella mappa luminosa del cuore
Per sempre solo tuo per sempre nascosto.
Come Ulisse nessuno torna a quel che ha perso
come Ulisse non sarai riconosciuto».
Piano cognitivo
Qualsiasi cosa noi percepiamo è energia, ma poiché non siamo in grado di recepirla direttamente, trattiamo la nostra percezione in modo che si adatti a una forma.
Carlos Castaneda
Per intenderci
Per piano cognitivo non intendo la totalità delle facoltà mentali, bensì una particolare funzione della mente. Per essere chiaro, specifico cosa intendo con i termini cervello, mente, cognizione.
Il cervello, sebbene descrivibile come organo, è un sistema. Il suo lavoro è imprescindibile dal lavoro degli altri sistemi che rendono possibile l'esistenza. Il compito principale del lavoro del cervello è coordinare il flusso di informazioni esterne e interne per consentire lo svolgersi dell'esistenza. Immaginare il cervello come l'organo contenuto nella scatola cranica, che funziona a prescindere dal sistema, equivarrebbe a immaginare che un computer possa elaborare un calcolo senza corrente o un cellulare consentire una comunicazione senza rete. Il cervello appartiene al piano fisiologico, ma la complessità del suo funzionamento è ancora ben oltre la comprensione delle nostre scienze.
Per mente intendo la capacità di formulare pensieri, consci e inconsci, di misurare, giudicare e comprendere, così come di sognare, astrarre e trascendere. Nella cultura dualistica occidentale questa capacità è diventata la controparte del corpo, nella scia di una suddivisione tra res cogitans e res extensa. Questo dualismo ancora pervade la nostra cultura, facendoci immaginare di poterci identificare con la mente e di abitare poi un corpo, così come si può abitare una casa. Credo che in questo punto origini il desiderio di alcuni esseri umani di voler cambiare il proprio corpo così come si può cambiare casa. Ovviamente non intendo moralizzare le scelte individuali di assecondare questo o anche altri desideri, ma di indicare che forse questo desiderio origina da una cultura impregnata dal dualismo mente-corpo, dove una mente-divina può plasmare un corpo-animale alla ricerca infinita di un qualche appagamento.
Per cognizione intendo non solo quella funzione della mente che comporta l'acquisizione, mediante esperienza (apprendimento), del funzionamento delle cose, caratteristica di tante forme viventi, ma quella tipicamente umana di formulare nozioni, mediante processi di astrazione. È il piano dove l'individuo, catalogando le esperienze, crede di aver acquisito la conoscenza. Se la mente è il termine che indichiamo per definire noi stessi ovvero il luogo in cui ci riconosciamo, è sul piano cognitivo che in realtà si forma la nostra visione del mondo e quindi la nostra morale, e conseguentemente la nostra posizione tra le infinite possibilità di comportamento adottabili. La funzione cognitiva della mente genera la propria personale rappresentazione del mondo. Se, parafrasando Schopenhauer, i piani dell'esistenza altro non sono che "... un breve sogno dell'infinito spirituale naturale, della permanente volontà di vivere [. . . .] che la volontà traccia per gioco sul foglio infinito dello spazio e del tempo", il piano cognitivo è il luogo in cui l'essere umano "si stupisce della propria esistenza", il luogo dove la volontà di vivere e l'intelletto si incontrano e si stupiscono "l'uno dell'altra".
L'ordine e il piano cognitivo
La funzione cognitiva della mente è fondamentalmente il tentativo di mettere ordine e rendere comprensibile, plausibile e gestibile l'esistenza che altrimenti potrebbe risultare troppo complessa. Produciamo una visione del mondo che diventa il nostro cielo stellato, da cui prendiamo orientamento per navigare la vita. Ogni istante di veglia la mente incamera stimoli interni ed esterni. Di notte, usando il sognare, oltre a incamerare altri stimoli, la mente scarta gli input superflui e si ritrova con nuove informazioni il giorno dopo. Come sia fatto questo setaccio, o se volete algoritmo, con cui decidiamo cosa mantenere e cosa lasciare andare, non è dato saperlo se osserviamo solo il funzionamento del piano fisiologico, ovvero componenti nervose, endocrine e viscerali. Con questo tipo di osservazione saremo sicuramente in grado di annoverare le componenti attivate e spesso la loro successione, ma sarebbe come guardare l'attività di un processore, di un disco rigido e di altre componenti di una elaborazione informatica... non riusciremo a leggere l'algoritmo, quindi il criterio, attraverso il quale avviene l'elaborazione. Ancora una volta conosciamo il supporto, ma non conosciamo l'informazione. A ogni modo, questo processo avviene costantemente. Dove finiscono gli stimoli scartati è poi un'altra questione. Io credo che non vengano eliminati, ma alienati dalla mente cosciente, finendo nell'oceano della memoria. Le informazioni che restano a livello cosciente costituiscono un insieme apparentemente ordinato e coerente, quello che definisco piano cognitivo.
Il ruolo del piano cognitivo
Per comprendere cosa fa il piano cognitivo ricorrerò ancora a Oreste e a Ulisse, al loro periglioso viaggiare. Ulisse aveva bisogno di Itaca per andare avanti, nonostante Poseidone, nonostante sé stesso. Doveva poter immaginare di tornare a Itaca. La fatica della guerra, i pericoli del viaggio, i capricci degli dèi, le proprie debolezze... tutto sarebbe stato ingestibile senza poter immaginare Itaca. Ulisse non aveva né bussola né astrolabio, ma aveva il sole e le stelle; così costeggiando la terraferma, con il sole e le stelle a scegliere le direzioni, navigava verso il ricongiungimento con Itaca. Così Oreste dovrebbe poter immaginare di tornare all'Essere. Ma, mentre Ulisse sapeva cosa immaginare, Oreste ha dimenticato la propria origine e naviga senza meta in cerca di qualcosa, che vagamente chiama felicità. Ma le difficoltà di Oreste non terminano con la dimenticanza. Mentre Ulisse viaggiò seguendo sole e stelle, Oreste può solo seguire la visione del mondo che ha ereditato. Un firmamento di valori che ha appreso dalla cultura che lo ha accolto alla nascita. Inoltre, il firmamento di Ulisse era un riferimento di posizioni, il firmamento di Oreste è un riferimento di nozioni. La differenza oltre che semantica è sul piano della forma, ovvero del portato: il riferimento di Ulisse è oggettivo (chiunque possa vedere può distinguere e condividere la posizione e il corso di sole e stelle), il riferimento di Oreste è soggettivo (le nozioni, sebbene possano condividere una matrice culturale, sono elaborate dal singolo secondo le proprie capacità di apprendimento). Ne consegue che il riferimento di Ulisse può dar luogo a carte di navigazione facilmente condivisibili e migliorabili, il riferimento di Oreste può solo generare un insieme di valori, quello che Cartesio chiama morale, migliorabili e condivisibili con grande difficoltà. Il ruolo che ricopre il piano cognitivo potrebbe essere accostato a quello di un curatore del più grande archivio-biblioteca del mondo: l'oceano della memoria. Un calderone contenente nozioni, ma anche altre informazioni non ancora catalogate, come stimoli, intuizioni, segnali, fantasie. Immaginiamo questo calderone come un edificio espandibile a più piani e a più stanze. Immaginiamo che alcune stanze siano illuminate e contengano elementi catalogati e indicizzati, mentre altre sono prive di illuminazione, altre ancora contengono solo fogli senza riferimenti. Alcuni piani sono facilmente accessibili, altri non hanno scale e altri ancora sono così difficili da raggiungere da sembrare labirinti tridimensionali. Il nostro curatore ha un bel da fare per svolgere il suo compito e mappare l'intero edificio.
Ogni domanda ha una risposta
Ogni informazione va catalogata. Per poter essere catalogata, l'informazione deve poter contenere la risposta alla domanda: dove la inserisco? Se l'informazione non contiene o sembra non contenere la risposta, il curatore ha un problema da risolvere. Il nostro curatore non vuole e forse non può restare senza risposte e si accontenta, nei casi più complessi, di una qualunque risposta credibile. Al comando di una sfilza di neuroni corticali, addestrati e forse evoluti ad essere decisionisti, il curatore cerca la giusta catena sinaptica tra le tante sperimentate, in grado di rispondere al quesito. In assenza di adeguatezza della risposta, il curatore fa rimbalzare il quesito a destra e a manca, per sfruttare le diverse propensioni dei due emisferi, passando per l'ippocampo per evocare contesti simili e simili soluzioni da applicare al quesito irrisolto. Alla fine della giostra il nostro curatore avrà catalogato l'informazione con una procedura che va aldilà delle categorie di vero e falso. Poco importa se la catalogazione prodotta è un refuso, una porzione della realtà o peggio una mistificazione, la classificazione accolta la rende valida. Così si formano schemi di catene sinaptiche che, pur essendo per loro natura plastiche e modificabili, persistono nella loro forma incredibilmente coatte e ripetitive, come un circuito paranoico, non necessariamente persecutorio.
La mente può mentire
I processi di acquisizione esperienziale e di classificazione delle conseguenti nozioni non sono processi affidabili. Le idee che percorrono la nostra mente devono essere passate al vaglio di una indagine se aspiriamo a un libero arbitrio e non vogliamo essere come automi che eseguono compiti prescritti. La crescita personale passa attraverso l'affrancamento dai pensieri coatti, dalle reazioni emotive e da sentimenti illusori. Il piano cognitivo è collegato agli altri piani dell'esistenza e li influenza e ne viene influenzato. Tale reciproca influenza è testimoniata dall'esistenza di alcune discipline, come ad esempio la Programmazione Neuro Linguistica o la Terapia Cognitivo Comportamentale, che utilizzano il piano linguistico e cognitivo per apportare cambiamenti nella conduzione e nella qualità di vita dei soggetti. Altri contesti culturali utilizzano la danza, il canto, la verbalizzazione di mantra e di preghiere, nonché il pianto condiviso per apportare modifiche alla condizione emotiva, psicologica ed energetica dei partecipanti. Per queste reciproche influenze tra i piani esistenziali è bene essere cauti su cosa il piano cognitivo ci propone di volta in volta di fronte alle scelte da compiere.
Piano animale o animistico
“La materia è il veicolo di manifestazione dell’anima su questo piano di esistenza, e l’anima su un piano superiore è il veicolo di manifestazione dello Spirito, e questi tre sono una Trinità, sintetizzata dalla Vita, che li pervade tutti”
H.P. Blavatskij
Abbasso le nomenclature e tutti i sistemi di classificazione
Riprendendo l’idea di Teilhard de Chardin, noi siamo esseri spirituali che vivono un’esperienza umana. L’anima è il tramite tra l’Essere e l’Esistente. Indagare sull’Anima spetta all’arte, non alla speculazione.